In questo periodo di disorientamento e isolamento sociale si può dire che questi ragazzi si ritrovano a vivere una quarantena obbligatoria: vietate le uscite, vietati gli ingressi da parte di esterni in struttura; questo a tutela tanto della salute degli operatori, quanto dei ragazzi che vivono presso la comunità. Questi ragazzi non possono più fare merenda al parco, non vanno più a scuola - anche se grazie ai docenti e ai coordinatori è stato reso possibile continuare a fargli fare attività didattiche che consentono loro di rimanere, per quel che è possibile, in allenamento. Le uniche persone che questi ragazzi vedono sono noi operatori che ci alterniamo ad ogni cambio turno. Questi ultimi, a maggior ragione, si trovano a dover adottare cautele per l'incolumità loro e dei ragazzi, anche se in questo periodo, a causa della non reperibilità dei DPI che dovremmo avere per diritto, chi come noi lavora in ambito sanitario-assistenziale si ritrova a lavorare con poca tutela. Noi operatori, pur sentendoci preoccupati, dobbiamo continuare a essere lucidi e professionali, a gestire la nostra angoscia e ansia, perché questi ragazzi con cui lavoriamo riescono a capire lo stato di chi hanno di fronte anche solo attraverso lo sguardo e la tonalità della voce. Ci sono ragazzi che trovano conforto semplicemente attraverso un tenerli per mano. Per esempio, una ragazza residente nella comunità chiede spesso "coccole" e questo include abbracci, baci e carezze, e pur sapendo che non sarebbe consentito si cerca comunque di fargli capire che l’operatore c’è ed è lì per lei. O ancora, sempre la stessa ragazza quando chiede di andare da "moma", cerchiamo di rassicurarla cercando di farle capire che noi per lei ci siamo, malgrado le direttive siano quelle di limitare gli incontri con esterni.
È ricollegandomi a questo ultimo esempio che mi viene da esporre un pensiero: a quanto questa pandemia abbia messo in luce l’importanza delle relazioni, dell’amore di un figlio o di un genitore.
Sabrina De Angelis
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