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Un invito al dialogo (di Gianni Ruscio)

In questi giorni di Pandemia, all'Antenna, come nel resto del mondo, il tempo sembra essersi fermato. O meglio, la nostra scansione del tempo sembra essersi fermata. La quotidianità come la conoscevamo, fatta di cose da fare, scadenze da rispettare, e tutta quella serie di azioni imputabili ad un trascorrere ordinario delle vicissitudini triviali di ognuno, non esiste più. Almeno per ora. Se prendo questo lasso di tempo reso indefinibile dalle conseguenze della pandemia, e mi soffermo ad osservarne la fotografia, mi accorgo che forse il tempo dentro l'antenna e quello fuori hanno ora un'aderenza maggiore di quanto, nella mia esperienza, sia mai accaduto. Siamo noi, mi dico, con la nostra fretta, con le nostre tempistiche, a determinare in gran parte il modo in cui il tempo viene vissuto, utilizzato e scandito dentro un luogo del genere? Da una parte è certamente così. Ora che il tempo si è fermato fuori e quasi automaticamente si è fermato anche per noi operatori dentro la struttura, sembrerebbe essersi aperta una possibilità di gestione diversa delle attività e delle abitudini della casa. Da quando ci si sveglia la mattina, a quando si va a dormire la sera, mi pare che stia avvenendo questo: è il ragazzo a scandire maggiormente il tempo, i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi movimenti interiori. E così l'operatore, pur sapendo esserci un programma, sembra più predisposto a seguire, più disposto ad ascoltare, per forza di cose, dico io, i ragazzi. E allora tutto nella struttura assume un senso altro, un senso ulteriore, quasi come se si fosse dato inizio a quella che potrebbe sembrare una gestione più morbida dell'elemento temporale. (Gestione che non sappiamo fino a che punto possa essere pacificante e ben accetta). Fino ad ora, mi pare, il fatto che i ragazzi non abbiano degli orari tanto rigidi e dettati da esigenze esterne da dover rispettare e a cui assoggettarsi, rende questa vita alternativa, ma alternativa piuttosto dal nostro punto di vista, non poi così "sbagliata", anche se è tutto da verificare e in fieri. Dicevo, non sembra sia poi così destabilizzante, per ora, anche se ci sono sicuramente le conseguenze a lunga gittata ancora da esperire ed analizzare. Insomma, forse, come dicevo appunto, è più destabilizzante per noi che per loro. Siamo messi nella condizione quasi forzata di ascoltare, di seguire, di domandarci quanto sia complicato per loro stare appresso a un tempo imposto dall'altro e dall'alto piuttosto che seguire, bene o male con le dovute briglie tese, le loro pulsioni. L'interrogativo è il seguente, ed è emerso durante uno scambio con una stimata collega: "Non sarà il modo in cui la società scandisce il tempo a scompensare e disintegrare in qualche modo i ragazzi?" Ovvero, se da una parte noi portiamo a loro il tempo esteriore, in quanto hanno una carenza simbolica che gli impedisce di coglierne le regole e la sua congruenza con il resto del mondo, e che serve loro come colonna, come punto di riferimento, sostegno, come supporto per la scansione della loro esistenza, quanto riusciamo noi, nella nostra condizione normo-regolata, ad aprirci davvero a loro e al loro tempo soggettivo? Così il clima dentro casa, per assurdo che possa sembrare, paradossalmente pare più disteso. Perché l'operatore è quasi obbligato a non avere la sua bussola a disposizione. E non perché i ragazzi siano più a loro agio, anzi (sappiamo quanto siano fondamentali le prassi e le ricorrenze), ma più che altro per quello che determina in ognuno di noi il fatto di viversi l'ambiente circostante con una quasi totale immobilità. Tornando sui ragazzi. Sembra, almeno da questi giorni di incertezza da parte nostra, che ci siano delle routine che possono essere modellate sulla loro percezione delle cose, come mangiare, fare dei laboratori, andare a letto e svegliarsi, ma sicuramente questo, per contrasto, ci suggerisce che appunto quelle routine possono essere modellate e non scardinate né tantomeno debellate, come dicevo poc'anzi. Infatti se come routine macroscopica prendiamo quella di andare a trovare i genitori fuori dalla struttura una volta a settimana, e se quella routine viene meno, ci accorgiamo di come poi effettivamente si possa parlare di elasticità solo fino ad un certo punto. È, piuttosto, mi dico, più un insegnamento per noi, una consapevolezza nostra. Un concetto con cui possiamo fare i conti noi per domandarci cosa si possa fare per mettersi in ascolto di un ragazzo, e quanto si possa tirare la corda con il fatto di aver reso determinate routine come un orologio che si ripercuote dentro di loro a livello biologico, e di cosa significhi tutto questo, a cosa serva, insomma. Tutti noi abbiamo avuto modo di osservare come queste consuetudini siano diventate endemiche e strutturali per la scansione di un tempo dato dall'esterno. E in qualche modo interiorizzato perché divenisse la spina dorsale della loro mente. In linea generale mi pare di aver notato anche che la scansione degli spazi funziona ugualmente, se non di più in alcune circostanze, di quella temporale. Effettivamente c'è una stretta correlazione tra tempo e spazio, essendo due facce della stessa testa. Infatti osservavo e mi interrogavo sul come scandire le cose da fare a partire dai luoghi possa essere efficace, un po' come erano soliti fare gli indigeni del nord America: per loro parlare del tempo non aveva alcun senso, tutto era delegato allo spazio, e ovviamente al susseguirsi del giorno e della notte, e delle stagioni, e delle fasi di nascita, crescita e morte di un essere umano. Per loro questi passaggi erano fondamentali, e i luoghi assumevano un significato di scansione del tempo davvero significativo. Quindi mi pare che dire: oggi siamo in sala laboratori per questo, poi in cucina per quello, ecc ecc. Potrebbe essere un altro strumento da utilizzare al bisogno. Anche perché ragionavo sulla natura del tempo. E mi veniva in mente di come questo tempo sempre uguale a se stesso, che non passa mai, che ritorna e ritorna senza soluzione di continuità né scampo fosse uno degli elementi determinanti dell'angoscia. Cosa ci facciamo con questo passare delle cose e delle persone, se non so come poterlo in qualche modo controllare?! L'enigma è arduo, pensatori molto più grandi di me hanno affrontato il tema da più angolazioni e nel corso dei secoli della storia umana. Io, per semplificare le cose e trovare una logica ho scomposto il tempo in 3 parti, ma non io in quanto io, io in quanto un io che ora sta analizzando una questione aperta da sempre, e dunque, dicevo, io ho scomposto il tempo in 3 parti. Tempo verticale. Tempo orizzontale. E tempo idilliaco, o tempo dello spirito. Il tempo verticale è quello che riguarda l'anima, le pulsioni, i desideri in quanto tali, che persistono e permangono sempre uguali a se stessi. Il tempo orizzontale, che è quello che si è interrotto in questo frangente del coronavirus, e che è legato alla scansione cronologica degli avvenimenti e della storia umana. E il tempo idilliaco, che ce lo dobbiamo immaginare un poco come la risultante tra tempo verticale e tempo orizzontale, che se infatti uniamo, viene fuori una croce, per avere un riferimento simbolico. E se intorno al punto in cui si incontrano le due rette disegniamo un cerchio, abbiamo un ulteriore riferimento simbolico di una forza sconvolgente. Riferimenti simbolici così potenti da essere in grado di manipolare i movimenti delle persone e delle cose, che nel corso della storia chi doveva esercitare un potere bene o male ha sempre utilizzato a proprio vantaggio, abusandone, distorcendoli, approfittandosene, in una parola. Ma torniamo a noi. Dicevo. L'autistico è "costretto" a vivere dentro il suo tempo verticale senza che questo possa mai avvenire ad un appagamento, in quanto anche se ad un certo punto farà tutt'uno con l'oggetto del suo desiderio, si ritroverà nell'impossibilità di restarvi, perché in qualche modo il tempo orizzontale esercita una pressione su quello verticale, ha una sua forza, diremo così. Il passaggio tra tempo verticale e tempo orizzontale crea una sorta di paradosso spaziotemporale, una gabbia da cui l'autistico fa fatica ad uscire ed entrare. E così, secondo l'ipotesi di questo scritto, l'angoscia, che è la condizione nella quale siamo costretti a stare in rapporto diretto con l'oggetto dei nostri desideri, ma senza poterlo possedere mai, e che genera uno scollamento, un discostarsi eterno, un ritardo mai colmato e incolmabile, dicevo, l'angoscia siffatta determina un "essere vissuti", un essere posseduti, anziché un viversi, un possedersi. (Così tutti gli attori che entrano nel rapporto, nel dialogo, generano null'altro che maggiore confusione nella possibilità di gestione degli stimoli, come se non si sapesse più in che direzione andare e/o a chi dare i resti.)

Così ho introdotto, nel mio lavoro con uno di loro, l'elemento della linea del tempo in una posizione dialettica. La scoperta del tempo digitale, o meglio, la replicabilità del tempo per mezzo della tecnologia, entrata a pieno titolo dentro i meccanismi di funzionamento umano, anzi, entrata a pieno titolo come prolungamento e dispiegamento dei complessi funzionamenti umani ci fornisce uno strumento per calzarci dentro questo discorso e fare delle considerazioni. Se metto Marcello davanti ad una linea del tempo, e dilato questa linea del tempo all'"infinito", ovvero, se faccio scrivere a Marcello che alle 12 del giorno successivo e fino alle 18 vedrà sua madre, e gli faccio aprire e vivisezionare quel tempo in modo tale da renderlo scrivibile e dunque pensabile, ad esempio: alle 12,01 Marcello sta con sua madre, alle 12.02 Marcello sta con sua madre... Ecc ecc. Marcello, osservazione alla mano, se ne starà buono fino alla fine della riscrittura del tempo in quel determinato spazio/evento. Insomma, starò per costruire insieme a lui gli eventi, i movimenti e il tempo stesso. Osservabile come ad ogni scansione e costituzione scritta e dunque visibile dei minuti ci sia una tensione e una distensione, che presumibilmente è la stessa con cui farà i conti una volta terminato il laboratorio, e che è ciò che per la stragrande maggioranza del suo tempo Marcello non riuscirà a gestire. Quindi senza appiccicare poi davvero Marcello al suo oggetto, abbiamo creato uno spazio quasi idilliaco, in cui Marcello e il tempo sono in una tensione non troppo difficile da contenere, perché tempo orizzontale e tempo verticale si assottigliano quasi fino allo zero, generando appunto quella specie di condizionamento che in questa ipotesi ho detto " del tempo idilliaco".*

Ora, considerato tutto questo, anche noi siamo costretti dentro un tempo forzatamente idilliaco, che però può fornirci un mezzo per raggiungere il ragazzo. Programma alla mano, come discusso anche con la suddetta collega, ci dicevamo possibile leggere e decidere di volta in volta insieme al ragazzo in questione cosa gli vada e cosa non gli vada di fare, preso atto dei vari piani su cui questa comunicazione può avvenire, verbale, non verbale, gestuale, ecc. Ecc. In conclusione la gestione e costruzione del tempo e, dunque, della propria storia personale, che può e anzi che deve essere partecipata da un'altra individualità, mi pare il punto centrale di queste osservazioni.

Quindi questo scritto è a suggerire come ci si possa mettere in ascolto in questo periodo storico (ma non solo ovviamente) e di come si possa, grazie a ciò, entrare in relazione con l'altro, e di come si possa, quindi, costruire la storia di un tempo condiviso. E così la propria verità e la propria realtà.


Gianni Ruscio


*questo laboratorio protetto è servito, per ora, solo a scopo dimostrativo, a dare un fondamento esperienziale all'ipotesi teorica, e non è stato possibile replicare questa logica, questa dinamica, alla situazione attuale.

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