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Le stalle di Augia con l’ignoto che preme (di Pietro Grossi)

Ecce epi-demia. Ecce pan-demia. Epi diviene il πάν che coglie tutta la polisemia iconografica ravvisabile nel satiro messo al mondo da chi si occupa di indovare i destinatari dei messaggi degli Dei e da chi, dea agreste, non è così dissimile dalla Dea Giunone in quanto alla fertilità. Ascolto in struttura la parola “noia”. Non posso, non chiedermi, cosa rappresenti questo Reale, il Reale di un trauma che marchia a freddo l’esistenza di tutti noi. Penso la Dea Driope e mi balugina l’idea del dissodamento del terreno perché possa fertilizzarsi. Penso a Newton, nella seconda metà del 600, periodo in cui vi fu la peste bubbonica e Cambridge chiuse per un periodo di quarantena. Eureka! Newton fece tra le più importanti scoperte che ancora oggi segnano l’Altro della scienza. Ciò che è deteriore, nella significazione comune, detiene il fulcro della potenza attuante. La noia come stato dell’essere in cui l’Altro della vita diviene il possibile. Nella claustrazione della vita di comunità il Dio παν non può non riportare quell’anfibologia dardeggiante per sustruire le premesse di una steppia. Spazio dedicato alla possibilità-per, in cui lo stallatico riempie anche i più truci e turpi periodi storici, basti pensare gli stalag, luoghi di Morte, luoghi in cui tutto si pone nello stato non tetico ma che pone allo stato tetico la vita. Morte e vita in sé inesistenti esistono alla modalità del per-sé, alla modalità della significazione. Ecco che la noia, in comunità, apre orizzonti all’erfinden, alla creazione, all’inventiva e laddove nella psicosi vi è una decisa consistenza dell’immaginario, perché evidentemente nel simbolico il nodo è sbreccato, la fine delle stalle di Augia diviene un cancello cigolante facente onomatopeicamente così “iiiiiiiiiiiii Bum” diviene la rappresentazione del possibile, di quel che sarà della pulizia dello stabbio e di ciò che fiorisce all’apertura del cancello, metafora, che nello svolgimento di un turno di lavoro scevra l’angoscia dell’operatore dalla manifestazione di cruente crisi per l’inconsistenza dello stesso, che in precedenza vigeva nel programma e che adesso diviene il possibile-per, l’ignoto che preme.


Pietro Grossi

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