Gli occhi che guardano e la bocca che non c’è.
C’è solo una voce nascosta che arriva come un’estranea angoscia del reale.
Arrivo nella struttura per ragazzi autistici e psicotici dopo una settimana di assenza, con l’obbligo di mascherina in questo tempo di coronavirus, mentre l’emergenza del reale invade il soggetto e il suo rapporto con la realtà.
A., una ragazza che non parla e si esprime appena con poche sillabe comunicando perlopiù a gesti, mi viene incontro e io le dico “Buongiorno A.”, lei mi guarda stranita aggrottando le sopracciglia, abbassa la testa e si allontana senza dire nulla.
Penso alla settimana che sono stata assente e ora sono tornata con una mascherina in faccia.
Al momento di fare colazione le chiedo da dietro la mascherina che cosa vuole bere.
“Vuoi il latte o il succo?”, lei risponde con un difficoltoso “si”.
Ripeto la stessa domanda per ottenere la medesima risposta.
Abbasso allora la mascherina per un istante e le chiedo:
“A. cosa vuoi bere, il latte o il succo?”.
Lei mi guarda con un sorriso e risponde “latte”.
Più tardi A. si avvicina a me, mantenendosi a distanza e toccandomi con la punta delle dita, e mentre emette con le labbra il suo solito sibilo sordo, nei suoi occhi traspare l’angoscia che comunica il taglio del mio viso, dove la mascherina vela la bocca e la voce rimane una eco della mancanza.
Subito dopo vedo lei mentre strappa con le mani un foglio di carta, riducendolo in tanti pezzetti, come spesso le capita di fare. Guardo lei e i pezzetti di carta sul pavimento. Tutto ciò mi fa pensare allo stadio dello specchio, in quella fase in cui il bambino si sente ancora frammentato ed impotente.
si sente ancora così?
È una ragazza che spesso picchia sé stessa e gli altri. Ricordo che un giorno mentre tentava di picchiarmi, dopo averle afferrato entrambi i polsi, le ho detto “No! Non ti lascerò più dare schiaffi né a me né a te stessa”. Da quel giorno non a ha più cercato di picchiarmi e a partire da questo “no!” si è creato uno spazio dove lei ha iniziato ad accettare che io mi prendessi cura di lei.
Poco più tardi la sorprendo che si schiaffeggia con violenza. Mentre il mio solo sguardo ormai la faceva smettere, lei non ha smesso. E non ha smesso fino a quando, sempre guardandola e senza dire una parola, non ho abbassato la mascherina.
Mi chiedo “cosa” sentono questi ragazzi ora che non possono vedere le espressioni degli operatori, ma solo un viso tagliato.
Oggi, in questi giorni di coronavirus in cui i ragazzi non possono tornare…
a casa…
a scuola…
in piscina…
a fare una semplice passeggiata…
la realtà non è più realtà, ma uno spezzettamento provocato dall’irruzione del reale.
Dove l’angoscia e la paura dell’abbandono che i ragazzi sentono, arriva agli operatori che vivono l’impotenza di fronte a questo nemico invisibile e mortifero.
Cosa è attuale?
La paura?
L’angoscia?
Oppure i fantasmi di ognuno di noi davanti ad uno specchio sfumato per un virus del reale?
Teresa Ianelo
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